Il Castello di Segonzano (TN) è un castello in rovina situato nel medesimo comune. A poca distanza dalle frazioni di Piazzo e Saletto, sorge su una propaggine rocciosa che a nord cade a picco direttamente sul torrente Avisio, mentre a sud degrada più dolcemente. Il pittore tedesco Albrecht Dürer realizzò due acquerelli raffiguranti il castello, probabilmente al suo passaggio nella Val di Cembra durante il viaggio verso Venezia, nel 1494-1495; uno ripreso da nord, presso il ponte di Cantilaga, e l’altro da sud ovest, da Faver.
Qui nelle notti di luna piena i contadini che coltivano le terre circostanti i ruderi del Castello raccontano di questa apparizione minuta, che prima passeggia e dopo aver preso la rincorsa si getta nel vuoto dai ruderi dei bastioni, per poi riapparire a breve nello stesso luogo e scomparire definitivamente poco dopo.
Sul Picena si raccontano due versioni del fatto, entrambe concordano che sia stato un uomo di bassa statura, che fosse a servizio dei baroni del Castello come sarto e che precipitò nel burrone dopo lo spezzarsi del ramo di fico dove si trovava, ma sul perché fosse su quel ramo le storie si diversificano.
La prima leggenda narra quanto segue: El Picena, uomo di bassa statura, di professione sarto, lavorava presso i baroni del castello di Segonzano. L’uomo era molto caro alla baronessa ma quando questa scoprì che era ateo tentò di convincerlo a convertirsi. Lui rifiutò e nonostante l’insistenza della donna, El Picena scappò via inseguito dalle guardie. Per nascondersi e sfuggire al braccaggio si arrampicò su un fico cresciuto su uno strapiombo. Il ramo su cui era salito si spezzò facendolo cadere sulle rocce sottostanti. L’uomo ormai morente strisciò fino ad una piccola grotta lì vicino dove si addormentò per sempre.
La seconda invece racconta che mentre le guardie controllavano il ponte di Cantilaga presso il castello, videro un omino gobbo che scendeva a dorso di mulo dalla sponda destra dell’Avisio percorrendo il sentiero della Corvaia: fermarono il piccolo uomo e provarono ad interrogarlo, ma da questi ottennero solo suoni a loro incomprensibili.
Spaventati, per via del suo aspetto (deforme), per le credenze popolari e da ciò che dottrinava la Chiesa, lo bloccarono col timore di trovarsi di fronte ad una creatura diabolica.
Lo condussero al cospetto del Conte che fortunatamente non essendo uno stolto, comprese che quello strano linguaggio non era la lingua dell’inferno, ma un dialetto tedesco: l’uomo dopo aver parlato con il Conte, risultò essere un sarto svizzero, ed egli decise che poteva essergli utile tenerlo alle sue dipendenze.
Il sarto, che a causa della sua bassa statura era soprannominato “él picèna” (il piccoletto) a causa invece della sua gobba(un po per proteggerlo, un po per non dare spiegazioni a chi lo scorgesse) il Conte, fu costretto a farlo vivere nascosto e in segreto, confinato in una stanza, accessibile solo a pochi, ma con tutti gli agi visto il delicato e certosino lavoro che faceva per lui, (secondo alcuni era segregato in una lurida e umida grotta, chiamata “Bus del Picena”) lontano da sguardi indiscreti impegnato a cucire lussuosi vestiti per le dame del castello.
Ovviamente le disgrazie per il Picena non finirono qui, perché l’uomo essendo di religione luterana non frequentava le Sante Messe, e questo offendeva la fede della Contessa, provocando continui attriti.
Unico svago era per lui camminare solo di notte, nei dintorni del maniero, ed era sovente arrampicarsi sugli alberi di fico per coglierne i frutti di cui era ghiottissimo.
Un brutto giorno, durante una di queste escursioni, cadde da un albero riportando gravissime ferite. La Contessa, premurosa della sua anima, fece chiamare allora un prete per cercare di salvargli l’anima almeno in punto di morte.
Ma il sarto, non ne volle sapere di ricevere i sacramenti cristiani e dopo un lungo battibecco tra le parti, suggellò il suo ultimo respiro, con una grossa bestemmia.
Alla Contessa, non restò che seppellirlo fuori dal cimitero, senza nessuna funzione religiosa, visto che non era cristiano, e pensò che al piccolo sarto non potesse far più piacere che essere seppellito sotto all’albero che gli procurava quei frutti tanto amati, ma non pensò che lo stesso albero gli fu causa di morte, condannando così il Picena alla dannazione eterna.
Entrambe le leggende a conclusione concordano che il suo fantasma senza pace vaghi tuttora al Castello nella speranza di trovare un prete che lo converta e permetta al suo spirito di riposare.
Anche se il fico incriminato non è più presente, resta comunque la cavità a cui la leggenda fa riferimento. Il “Bus del Picena” (Buco del Picena), è presente e raggiungibile e tuttora i superstiziosi di Piazzo, per scaramanzia, sembra che evitino di arrampicarsi sui fichi.