Nel cuore di Grottole, una cittadina incastonata tra le dolci colline della provincia di Matera, svetta maestoso il Castello Sichinulfo. Imponente fortezza, si erge fiero a 540 metri d’altitudine, dominando con maestria il panorama circostante.

La sua storia affonda le radici nel lontano IX secolo, un’epoca in cui i Longobardi di Benevento, consapevoli della strategica importanza del territorio, decisero di erigere questa poderosa struttura difensiva. Era un avamposto, una sentinella eretta per vigilare sulle valli del Basento e del Bradano, una garanzia di sicurezza per il regno longobardo.

Castello Sichinulfo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le prime tracce della sua esistenza affiorano dal “Kitab Rugiar”, un antico documento del XII secolo conosciuto come Il libro di Ruggiero. Qui si narra dell’origine del castello, attribuendo la sua costruzione al popolo Longobardo di Benevento nell’anno 604 d.C. Tuttavia, c’è un’altra leggenda che si insinua tra i racconti del tempo. Questa narra di Siconolfo, principe di Salerno, come il vero artefice dell’opera, fissando la sua creazione all’anno 851 d.C., dopo la suddivisione del territorio lucano tra i principati di Salerno e Benevento. Una disputa di dati e leggende, un mistero che avvolge le antiche pietre del castello.

Attraverso i secoli, il Castello Sichinulfo ha subito il fluire del tempo, modificandosi, adattandosi, crescendo. È passato di mano in mano, sotto il dominio di diverse famiglie feudatarie, ognuna lasciando il suo segno sulla pietra antica. Ma tra tutti i suoi custodi, spiccano i Sanseverino, principi di Chiaromonte. Nel XVIII secolo, questi illustri signori trasformarono il castello in una dimora signorile, conferendo un nuovo splendore all’antica fortezza. E così, nel susseguirsi degli anni e dei destini, il Castello Sichinulfo rimane saldo sulla collina, una testimonianza vivente di epoche passate, pronta a raccontare ancora i suoi segreti al vento del tempo.

Nel cuore del maniero di Grottole, come accade spesso per i castelli disseminati in Italia ed in Europa, si cela una storia avvolta dal mistero e dalla passione. È la leggenda di Abufina e del suo ardente amore per Selepino, il giovane mugnaio del contado, la cui unica colpa era quella di essere nato nella povertà. E così, in un intrigo degno delle migliori storie d’amore, lottavano contro un destino che sembrava aver deciso di separarli.

La trama si infittisce quando il fratello di Abufina, un fiero comandante alla testa della guarnigione, decide che Selepino deve essere allontanato. E così, con la scusa di mandarlo a combattere lontano, spera di allontanare definitivamente il giovane mugnaio dalla vita di sua sorella.

La leggenda prende vita nelle stanze del torrione, dove Abufina, con il cuore gonfio di amore e la mente piena di pensieri per il suo amato lontano, ricama seduta vicino alla finestra. La luce del sole bacia la sua pelle candida, rendendola luminosa come il latte e i suoi capelli riflettono il calore del grano dorato.

Torre di Abufina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un giorno, mentre il silenzio avvolge il castello, il fragore di uno scalpitio interrompe la quiete. È un messo, giunto con un importante missaggio tra le mani. Abufina, con il cuore che batte all’impazzata, apre il messaggio che porta notizie di Selepino. Le parole scritte con inchiostro nero su pergamena bianca la sconvolgono: “Vieni, Abufina, vieni da me; io che uccido i nemici, me l’amore mi uccide; vieni, Abufina, vieni da me: insieme con te al castello di Grottole sol tornerò; fà presto, fà presto…”.

L’invito è chiaro, la promessa di un ritorno è nel vento. E così, nel castello di Grottole, una nuova speranza si accende, mentre Abufina si prepara a seguire il richiamo del suo amato, determinata a raggiungere la felicità che il destino sembrava aver loro sottratto.

Abufina partì senza esitazione, il cuore pulsante di speranza mentre il suo cavallo bianco cavalca con fierezza lungo il sentiero tortuoso verso il destino che l’aspetta. Ma il fato, astuto e crudele, aveva preparato una prova ancor più amara. Mentre attraversa il fiume Basento, gonfio e tumultuoso per il diluvio implacabile, il destriero perde la presa sulle pietre scivolose e sprofonda nelle acque agitate. Abufina, travolta dalle correnti spumeggianti, lotta invano per aggrapparsi alla vita, ma il fiume, avido di vittime, reclama il suo tributo. E così, nel frastuono della natura indomita, la giovane donna trova la sua fine, il suo amore spezzato nel turbine delle acque.

Per onorare la memoria di Abufina, il signore del castello decide di rendere omaggio al suo sacrificio. La porta d’ingresso alla stanza dove Abufina trascorreva le ore della sua lunga attesa viene murata, un simbolo tangibile del dolore che ha permeato quelle mura antiche. Una lapide, solenne e commovente, porta incisi i suoi ricordi (di cui era possibile vedere, fino agli inizi del XX secolo, dei frammenti con le seguenti parole):

“Ad Abufina la Bella che corse, cui fu dolce morire d’amore questa torre che fu tua dimora parli sempre alle genti di te. Ogni amante ti porga un saluto e ti stringa al cuore l’amata.”

E così, nel cuore del castello, la presenza di Abufina rimane viva, intessuta nei ricordi e nelle storie tramandate di generazione in generazione. La leggenda, come un filo sottile che unisce passato e presente, si snoda tra le pietre millenarie, lasciando una traccia indelebile nel tempo.

Ancora oggi, il Basento, conscio del suo ruolo nella tragedia, sussurra quando le sue acque sono in forte fermento, il nome di Abufina con rimorso e dispiacere. E guardando il torrione, soprattutto durante le notti di luna, e nei mesi primaverili, è facile scorgere l’ombra pallida di Abufina, il suo spirito errante che ancora cerca il suo amato seduta vicino a quella finestra dove attendeva. Sono molte le testimonianze di chi ha visto il fantasma triste di Abufina passeggiare vicino al fiume dove ella perse la vita; la descrivono come un ombra leggera ma ben visibile con indosso una lunga veste con strascico verde pallido, volto opalino, occhi neri e capelli biondo rossicci.

A Grottole, durante il periodo del Patrono San Rocco, il ricordo di Abufina e Selepino rivive nei festival medievali, dove le leggende si mescolano alla realtà, tessendo un mosaico di emozioni e ricordi.

Il Castello Sichinulfo, con la sua storia avvincente e il suo fascino intramontabile, rimane un punto di riferimento nel panorama medievale della Basilicata. Un invito a esplorare le sue mura e a scoprire i segreti nascosti di un passato glorioso. Se vi trovate in zona, non lasciatevi sfuggire l’opportunità di immergervi nella magia di questo luogo incantato.

 

AUTORE


Redazione MT

“Quella del mistero è la migliore esperienza che possiamo avere. È l’emozione fondamentale che veglia la culla della vera arte e della vera scienza.” — Albert Einstein



Tipologia : Personaggi / Fantasmi
Ubicazione : Europa / Italia / Basilicata
Accesso : Pubblico
Stato di Conservazione : Buono
Accesso con Animali : Da Verificare
Accesso con Disabilità : Non Accessibile
Raggiungibilità : A Piedi
Servizi Igienici : Non Accessibili
Email : comune.grottole@cert.ruparbasilicata.it
Note : il castello è in fase parziale di restauro. contattare l'ufficio comunale di competenza per accertarsi aperture e quant'altro.
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