Come si potrebbe pensare dal nome che porta, il principato di Lucedio non è dedicato a Dio, ma sembra che sia in realtà dedicato, secondo la leggenda, al portatore di luce, al primo degli angeli caduti, a Lucifero in persona.
L’abbazia fu fondata nel primo quarto del XII secolo, presumibilmente nel 1123 ad opera di alcuni monaci cistercensi provenienti dal monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône in Borgogna, su terreni donati loro dal marchese Ranieri I del Monferrato della dinastia degli Aleramici.
La storia racconta che nel 1204 durante la quarta crociata che si concluse con il saccheggio di Costantinopoli, Bonifacio I degli Aleramici marchese di Monferrato condusse al principato di Lucedio, due prigionieri, l’imperatore bizantino Alessio III e sua moglie Eufrosina, i quali secondo la leggenda rimasero rinchiusi nelle catacombe ed ivi la regina perse la vita assieme al loro pargolo, ma i loro scheletri non furono mai identificati tra i numerosi resti trovati nelle cripte dell’abbazia.
La leggenda che maggiormente ha attirato la nostra attenzione sul principato di Lucedio, ora fiorente azienda agricola che esporta riso in tutto il mondo è la seguente.
A.D. 1684, nell’adiacente cimitero di Darola, durante la notte venne effettuato un rito demoniaco, un sabba atto a richiamare sulla terra le forze oscure, le quali non tardarono a manifestarsi, infatti quella notte non si evocò un demone qualsiasi, ma il principe delle tenebre: Lucifero in persona.
Da quel momento in paese tutto cominciò a prendere una diversa piega, l’ordine regolare delle cose venne sovvertito, le giovani novizie del convento sedussero i monaci, facendoli cadere in tentazione e nella lussuria più totale. Nella sala capitolare dell’abbazia si consumarono scene di turpitudine morale, inoltre venivano eseguite messe sataniche e sacrifici umani, impregnando così quelle pareti di pura malvagità. Da qui infatti scaturisce la leggenda della colonna che piange per le oscenità e la ferocia di quegli atti commessi nella casa di Dio.
Tutto questo si perpetrò negli anni, finché la cosa non arrivò agli orecchi di Roma e del Papa, che nel 1784 mandò a Lucedio un frate esorcista con il compito di scacciare il maligno, sconsacrare e chiudere l’abbazia.
Questi riuscì nel suo intento dopo diversi tentativi grazie, oltre al rito classico latino, all’utilizzo di musica composta appositamente per intrappolare e confinare in un luogo preciso il demone precedentemente evocato, come descritto nel libro “Clavis Salomonis”. Così Lucifero venne rinchiuso e sigillato nella cripta del monastero e a guardia dei sigilli il frate lasciò i corpi di quattro monaci deceduti durate l’esorcismo.
Da allora numerose sono state le persone che hanno cercato invano dentro l’abbazia lo spartito usato dal frate per confinare Lucifero, perché sempre secondo la leggenda chi lo suonasse al contrario recitando la formula di liberazione, potrebbe riportare lo spirito del demone in libertà. Finché nel 1999 Luigi Bavagnoli, fondatore e presidente del gruppo Teses, trovò per caso nel Santuario dedicato alla Madonna delle Vigne (a poca distanza dall’abbazia), proprio sopra al portone d’ingresso, l’affresco di un organo a canne, riportante un pentagramma con una semplice tablatura e, poco più in basso, si notò due Fiere, che tra i loro artigli recavano il sigillo Papale.
Che sia questo il famoso e leggendario Spartito del Diavolo? Nessuno può saperlo con esattezza, ma dagli studi effettuati sullo spartito da una famosa musicologa, la dott.ssa Paola Briccarello, tramite un sistema di sostituzione di note con le lettere, simile ad una cifratura, si scoprirono tre parole: DIO, FEDE, ABBAZIA. Briccarello aggiunse che le prime tre note venivano di norma usate per terminare una melodia liturgica, non per iniziarla, deducendone che la tablatura poteva essere eseguita al contrario senza difficoltà, proprio come al contrario era stata dipinta sull’affresco.