Secono la leggenda, la vallata, stretta e minacciosa, incuteva timore con il suo torrente che serpeggiava tra rocce scivolose e una selva intricata. Si diceva che fosse abitata da spiriti malvagi, e chi si avventurava in quei boschi non faceva più ritorno.
Augusta Praetoria, città in crescita con progetti di sviluppo e commercio, attirava sempre più coloni. Avillio, un imprenditore romano spregiudicato, noto per i suoi affari, decise di sfruttare la zona ricca di torrenti per i suoi interessi, costruendo un acquedotto per portare agevolmente l’acqua nelle sue cave di marmo. Nonostante gli avvertimenti sulla presunta maledizione, iniziò i lavori con un esercito di operai.
Ma la natura sembrava opporre resistenza: frane, alluvioni e una nebbia fittissima rendevano il lavoro di costruzione impossibile. Gli operai, terrorizzati dalle leggende sulla dea Eyvia, abbandonarono il cantiere in massa. Avillio, sprezzante, li ignorò e decise di proseguire. Ma una notte, un’onda d’acqua in piena travolse il lavoro già iniziato. La mattina dopo, la nebbia rivelò che la vallata si era trasformata: la roccia nuda rendeva impossibile qualsiasi tentativo di costruzione.
Avillio, determinato a superare gli ostacoli, chiamò il miglior ingegnere di ponti della regione, consigliato persino dall’imperatore. Decisero di scolpire la roccia dall’alto per creare i pilastri del ponte. Ma gli imprevisti erano all’ordine del giorno: frane, smottamenti, incendi e furti misteriosi. La tragedia più grossa colpì quando un operaio cadde dall’impalcatura, precipitando nel torrente. Rimasti in pochi, il cantiere era ormai deserto.
Una mattina, Avillio fu svegliato da una strana sensazione. Una farfalla azzurra dalle ali lucenti era posata accanto a lui, come se volesse comunicargli qualcosa. La creatura danzava attorno a lui, guidandolo con un impulso misterioso. Avillio, quasi contro la propria volontà, si alzò e la seguì fuori, trovando la vallata deserta. La farfalla lo condusse verso una fessura nella nebbia, e Avillio la seguì incantato, senza badare a dove metteva i piedi.
Attraversò la gola apparentemente nel vuoto, guidato dalla luce azzurra sempre più intensa. La farfalla lo portò su pendii pericolosi, ma Avillio avanzava con sorprendente agilità. Giunsero infine in una spettacolare insenatura, dove le acque cristalline del torrente si placavano in una piscina naturale. Su una balza di pietra, una luce abbagliante lo avvolse, e quando riaprì gli occhi, vide una figura eterea, una fanciulla di straordinaria bellezza, che sembrava fatta di luce e aria.
La sua voce profonda e suadente lo lasciò stordito:
“Dimmi, dunque, straniero, chi sei? E perché ti ostini a voler varcare impunemente i confini del mio regno senza permesso e senza rendermi omaggio? Cosa cerchi?”
Avillio, confuso, impiegò alcuni minuti per raccogliere le sue idee.
“Io… mi chiamo Caio Avillio Caimo, sono un cittadino romano. Sto cercando di costruire un canale per portare l’acqua alle cave di marmo qui a valle… non ho fatto nulla di male…”
“Nulla di male?! Sei forse cieco e sordo? Non hai interpretato i molti segnali che ti ho inviato? Questo è il mio regno! La mia acqua! Qui tu non entri e non passi! Non ti permetterò di costruire alcunché! L’acqua è pura, sacra… non va utilizzata per mero guadagno! Tu non hai mostrato il minimo rispetto per questa terra e hai ignorato i consigli della mia gente!”
“La tua gente? Chi sei tu?” balbettò Avillio.
“Io sono Eyvia, la ninfa di questo torrente, guardiana della gola e dell’acqua che vi scorre; protettrice di questa vallata e di tutte le creature che vi abitano”.
“Eyvia… ti chiedo perdono. Ma io ho bisogno di quest’acqua. Come posso fare?”
“Te la dovrai guadagnare, Romano! Tu sei abituato ad avere subito tutto ciò che vuoi. Stavolta dovrai saper aspettare!”
Eyvia tenne Avillio prigioniero per diversi giorni, costringendolo ad esplorare la vallata senza l’ausilio dei suoi trucchi magici. Avillio, abituato a comandare e a ottenere ciò che voleva senza sforzo, trovò difficile adattarsi. Ma con il tempo imparò a rispettare la terra e ad ammirare la sua bellezza.