Se ci rechiamo a Triora in Liguria, troveremo uno splendido paesello medioevale costruito in un cucuzzolo. Il centro è caratterizzato da una vastità di viottoli sghembi, volte, cunicoli, case in sasso dalle pareti torte, scalinate. Il piacevole paese dà immediatamente una gradevole sensazione, tuttavia si percepisce contemporaneamente qualcosa di sinistro, spiacevole, misterioso. Forse questa strana sensazione deriva dai brutti fatti che vi accaddero sul finire del ‘500. Cercherò di esporvi quegli avvenimenti il più sinteticamente possibile.
All’epoca Triora era un borgo fortificato, snodo commerciale fra Piemonte, la costa e la Francia. Era sotto l’area d’influenza genovese ed aveva cinque fortezze al cui interno vi era d’istanza una guarnigione della Repubblica. Gli eventi che portarono l’attenzione dell’inquisizione su Triora nacquero da una carestia durata due anni che aveva piegato la popolazione e che, nell’estate del 1587, fece credere ai paesani, bigotti e superstiziosi, che alcune donne ne fossero responsabili.
Nell’ottobre di quell’anno il Parlamento di Triora, col consenso del Consiglio degli Anziani e del Podestà, stanziò la cifra di 500 scudi per processare le streghe. L’allora Parlamento del paese era composto da popolani che certo non brillavano per educazione e cultura, quindi particolarmente attenti alle dicerie di paese più basse. 500 scudi per l’epoca erano una enormità, soprattutto se prendiamo in considerazione la difficile situazione economica che attraversava Triora, ma piuttosto che investire quel denaro in una politica d’aiuto della popolazione il rozzo Parlamento preferì pagare un processo della Santa Inquisizione. L’autorità ecclesiastica inviò il vicario dell’Inquisizione di Genova e quello di Albenga, Girolamo Del Pozzo. Com’era in uso in quel periodo, i vicari celebrarono messa nella chiesa parrocchiale invitando i partecipanti (all’epoca la popolazione partecipava in massa) ad indicare i sospettati di stregoneria.
Vennero confiscate alcune abitazioni per poter creare delle carceri dove rinchiudere le sospettate di stregoneria. I vicari dell’Inquisizione individuarono un ragazzo e 19 donne e fra esse vi furono presto due vittime: Isotta Stella di sessant’anni e un’altra che morì cadendo da una finestra nel tentativo di evadere da un appartamento/carcere. Le delazioni, le invidie, gli odi atavici cominciarono a dilagare, e fra i 20 sospettati vi erano dalle nobildonne alle prostitute della Cabotina, quartiere povero fuori dalle mura. Questa composizione delle accusate mosse il Consiglio degli Anziani, principalmente composto dai proprietari terrieri, ad esprimere perplessità sul processo in corso. Il repentino aumento delle accuse a tutti gli strati sociali impedì quindi agli Inquisitori di concludere il processo. Tuttavia i sospettati di stregoneria continuarono ad essere incarcerati in attesa di giudizio.
Iniziò un breve rapporto epistolare fra Del Pozzo e Mons. Luca Fieschi, vescovo di Albenga, che chiedeva all’Inquisitore spiegazioni del suo operato. Del Pozzo si giustificò sostenendo la presenza del Maligno, contestualmente il Consiglio degli Anziani ritirò le proprie perplessità e ritornò a sostenere l’operato degli Inquisitori. Per questo cambio d’idea da parte del Consiglio degli Anziani pare che ci fu una rassicurazione verbale da parte di Del Pozzo sulle sorti delle nobildonne.
Ma, se Mons. Luca Fieschi si accontentò di un contatto epistolare con Del Pozzo, Alberto Drago volle fare un sopralluogo a Triora. Alberto Drago era il nuovo inquisitore generale di Genova, appena promosso dopo una brillante carriera dal 1581 all’88 come Inquisitore di Faenza, e l’operato di Del Pozzo non fu di suo gradimento. Infine sollevò dall’incarico sia Del Pozzo che il vicario di Genova che lasciarono, alla fine del gennaio 1588, Triora in una situazione drammatica.
Da qui in avanti il procedere del processo prese una piega del tutto singolare ed unica. Da qui in avanti avverranno tantissime richieste d’aiuto al governo genovese che cadranno inascoltate. Proprio il Parlamento di Triora che fu l’iniziale fautore del processo, cambiò opinione e incaricò un notaio (tale Basadonne) di scrivere un’epistola a Genova dove si chiedeva di revisionare il processo. Solo a maggio, in risposta alla lettera, arrivò da Genova il padre inquisitore Alberto Fragarolo. Fece alcuni interrogatori a Triora poi la lasciò senza una soluzione, lasciando immutata la situazione tremenda in cui versava.
L’8 giugno 1588 giunse a Triora il commissario speciale Giulio Scribani, già Pretore di San Romolo. Dopo un mese lo Scribani mandò una lettera a Genova che conteneva una frase che lasciava ad intendere oscuri presagi: “[son giunto a Triora] per smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi per tal conto tutto desolato”. La prima mossa che fece lo Scribani fu spedire 13 donne e l’unico maschio dalle carceri di Triora a quelle di Genova. Gli arresti e le torture aumentarono in modo impressionante. Nei mesi successivi lo Scribani aprì nuovi casi e fece morire donne presunte streghe. Il Doge di Genova, di fronte alla richiesta d’avvallo per la condanna a morte di decine di donne, decise di appellarsi allo Scribani chiedendogli di attenersi alle confessioni e soprattutto di provarne la veridicità con prove tangibili. L’appello non venne ascoltato. Genova affidò quindi la revisione del processo al l’uditore e consultore Serafino Petrozzi, il quale però fece notare che lo Scribani si fosse attenuto a reati di stregoneria che potevano essere di sola competenza dell’Inquisizione. La relazione del Petrozzi si concluse sostenendo che comunque la situazione era molto delicata ed il cadere in errore era facile. Di fatto il Petrozzi se ne lavò le mani, mentre lo Scribani continuava ad incarcerare presunte streghe e a difendersi con numerose lettere.
Da Genova venne affidato al Petrozzi i due giureconsulti Giuseppe Torre e Pietro Allaria Caracciolo. La cosa sconvolgente fu che i due nuovi revisori, dopo aver analizzato la situazione, si trovarono d’accordo con lo Scribani e convinsero anche il Petrozzi. Lo Scribani non ebbe più un freno e continuò a condannare a morte presunte streghe a Triora e nei borghi vicini come Bajardo, Montalto Ligure e Andagna. In questo periodo lo Scribani venne addirittura scomunicato dall’Inquisizione stessa per il suo comportamento scellerato, verrà poi ritirata a fatti conclusi il 15 agosto 1589 tramite l’intercessione del Doge.
La vera svolta avvenne il 28 aprile 1589 quando i cardinali Sauli e quello di Santa Severina, emisero l’ordine di chiudere i processi. Fatto non da poco fu che nella missiva le streghe di Triora vennero chiamate “sudditi della Signoria”, prendendo le distanze dai giudizi dello Scribani. Morirono altre due donne e il Doge, il 27 maggio, esortò il cardinale Sauli a ribadire la chiusura dei processi. Solo il 28 agosto il cardinale di Santa Caterina chiuse definitivamente il processo a nome dell’Inquisizione.
Quella appena fatta è una sintesi degli avvenimenti della mattanza alle streghe di Triora. Non ci addentriamo in ipotesi fatte dagli storici o di che fine abbiano fatto le streghe incarcerate al momento della fine del processo. Poco se ne sa, e pochi altri documenti ci sono del dopo processo. Ci basta dire che il Nome Triora deriva dal latino “tria ora” ovvero “tre bocche”, ed il simbolo comunale del paese è un cane a tre teste, come Cerbero il cane infernale. È quindi stato solamente una l’omicidio zelante e bigotto degli inquisitori o c’era qualcosa di più? In conclusione, nel periodo successivo al processo di Triora, in Liguria si diffusero i cognomi Bazoro e Bazura che derivano dal dialetto locale “bagiua” che significa “strega”.