Miti e leggende senza tempo e senza risposte
Da sempre i miti e le leggende ci incuriosiscono e ci appassionano: siamo per natura affascinati da ciò che non conosciamo, da ciò che lascia in noi domande, dubbi e misteri da risolvere. Ecco perché in questo articolo proveremo a percorrere un tour virtuale tra quei luoghi d’Abruzzo sopra i quali aleggia da sempre un alone di mistero. Sono luoghi in cui il tempo sembra sospeso e in cui le storie e le leggende si sono sedimentate tanto da far credere a molti che un fondo di verità comunque ci sia.
Contenuti del post
I tre Quadrati Magici d’Abruzzo
Il Quadrato del Sator è una ricorrente iscrizione latina, di forma quadrata, composta dalle cinque seguenti parole: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS. La loro collocazione, nell’ordine indicato, fa in modo che le cinque parole si ripetano sia se lette da sinistra a destra e dall’alto verso il basso che da destra a sinistra e dal basso verso l’alto. L’iscrizione è stata oggetto di frequenti ritrovamenti archeologici in tutta Europa, ma il senso e il significato simbolico rimangono ancora oscuri nonostante le numerose ipotesi formulate. In Abruzzo sono stati ritrovati tre esemplari: uno a Campotosto, uno a Capestrano e uno a Magliano de’ Marsi.
- Campotosto custodisce il suo quadrato nella cripta della chiesa seicentesca di Santa Maria Apparente.
- Nei pressi di Capestrano, invece, il quadrato magico è situato sulla facciata esterna della chiesa di San Pietro ad Oratorium, accanto all’effige di re Desiderio, dominatore longobardo che nell’VIII secolo promosse la costruzione dell’antica abbazia in seguito a un sogno. La particolarità che rende unico questo Sator è la sua collocazione capovolta, che, scongiurando un errore, può anche suggerire l’ipotesi della negazione stessa del suo simbolo.
- Il terzo quadrato magico d’Abruzzo è situato sulla facciata frontale della chiesa di Santa Lucia di Magliano de’ Marsi, difficilmente visibile ad occhio nudo, perché si trova sotto la pancia di una figura mostruosa scolpita all’interno di una formella duecentesca.
Per alcuni si trattava senza dubbio di un codice, di una parola d’ordine ad uso probabilmente dei misteriosi Cavalieri Templari. Per altri si trattava di un’indicazione religiosa per i fedeli o di un motto laico al tempo dell’impero romano di cui in seguito si era perso il significato. Tutte le congetture sono possibili.
Per la scrittrice Silvana Zanella se si leggono le cinque parole ma mutandone l’ordine, la frase da interpretare diventa “SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS” che potrebbe stare per “Il seminatore decide dei suoi lavori quotidiani, ma il tribunale supremo decide il suo destino”, ovvero “L’uomo decide le sue azioni quotidiane, ma Dio decide il suo destino”. Il dibattito, tuttavia, non può dirsi risolto.
Il lago meteoritico di Secinaro
Lungo la strada provinciale che collega Rocca di Mezzo a Secinaro, incastonato in un piccolo altopiano a circa 1100 metri di quota, è stato scoperto il primo cratere da impatto meteoritico in Italia. La storia del lago della piana di Secinaro è balzata all’attenzione degli studiosi nazionali e internazionali nel 1990, quando Jens Ormo, geologo svedese, intuì una possibile origine meteoritica nella morfologia del bordo rialzato. Ispirati da quella intuizione, molti studiosi si sono dedicati negli anni allo studio del lago.
Ed è qui che la storia e la scienza iniziano a intrecciarsi con il mito: poco più di 1700 anni fa, infatti, una scia luminosa attraversò il cielo. L’imperatore Costantino interpretò il segno luminoso come una croce: l’impero romano si convertì al cristianesimo e, così, cambiò per sempre la storia del mondo. Nella Valle Subequana, in Abruzzo, nello stesso periodo, scomparve la civiltà legata al culto pagano della Sicinnide: leggenda vuole che il tempio sia stato colpito da un’enorme palla di fuoco facendolo sprofondare. Forse un meteorite? Forse lo stesso che, impattando al suolo nei pressi di Secinaro, ha dato origine al cratere divenuto oggi lago?
La Grotta dei Coboldi
A Pratola Peligna, in provincia dell’Aquila, seguendo il sentiero numero 18, che inizia dal circolo ippico in Contrada Orsa, si arriva sino alle rovine di un vecchio castello, chiamato proprio Castello dell’Orsa. Secondo la ricostruzione di alcuni storici, il borgo di Orsa subì il processo di incastellamento intorno all’anno mille ma non è chiaro, invece, il motivo per cui il borgo fu poi abbandonato.
Un altro aspetto, poi, che incuriosisce ancora oggi, è il nome di una grotta che si incontra lungo lo stesso sentiero: la grotta dei Coboldi. Il coboldo, nel folclore tedesco, è un folletto poco socievole. Simile ad uno gnomo, infesta le miniere e altri luoghi sotterranei, spesso ostacolando il lavoro dei minatori. È dal riferimento a questo mito che prende nome il cobalto, un metallo noto per essere oltretutto velenoso. Non vi state, dunque, chiedendo perché una grotta in Abruzzo tragga il nome da un affascinante mito tedesco? Una risposta chiara e sicura, anche in questo caso non c’è.
La Grotta del Colle
La Grotta del Colle a Rapino, in provincia di Chieti, sul versante orientale della Majella, è sicuramente un dei siti archeologico particolarmente suggestivo. Dagli scavi condotti nel 1954 è possibile affermare che la grotta sia stata abitata sin dal Paleolitico. Più massicci sono i ritrovamenti del Neolitico e dell’età del Bronzo recuperati sempre all’interno della grotta.
In epoca italica la grotta fu verosimilmente trasformata in santuario, come testimonia la statua bronzea rinvenuta raffigurante una divinità femminile: la Dea di Rapino. Ma la bellezza fiabesca della grotta non è la sola caratteristica degna di nota; forse ciò che più affascina sono i misteri che sembra celare al suo interno. Secondo alcune leggende, infatti, in uno dei tanti cunicoli che sono all’interno della grotta, le antiche popolazioni italiche avrebbero nascosto dei tesori.
Verità o leggenda? Non è dato saperlo, tuttavia la grotta fino ad ora ha già restituito al mondo due grandi tesori: la Dea di Rapino e la Tabula Rapinensis. Quest’ultima venne rinvenuta nel 1841 dall’archeologo tedesco Theodor Mommsen, ma lo studioso riuscì a portarla con sé a Berlino. Dopo circa un secolo trascorso nel museo berlinese, la preziosa Tabula Rapinensis scomparve misteriosamente nel 1945 con l’ingresso vittorioso dell’esercito sovietico nella città tedesca. Si ipotizza dunque che il bronzo sia stato portato a Mosca e che si trovi attualmente nel museo Puskin di Mosca.
Comments are closed here.